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Ucraina, Croce Rossa: profughi “fragili” si ricongiungono con parenti all’Interporto di Avezzano

Avezzano. Hanno dai 3 mesi agli 85 anni e da oggi hanno trovato accoglienza in Italia. Sono le 83 persone fragili, bambini, anziani e diversamente abili che la Croce Rossa Italiana ha fatto evacuare da Leopoli e portato stamani nel nostro Paese con un convoglio di 36 mezzi.

Provengono da varie zone dell’Ucraina, da Lutsk a Kharhiv fino a Kiev ed ora sono stati distribuiti in varie regioni italiane grazie al supporto della Protezione Civile e del Terzo Settore, in particolare dell’Arci.

Di queste persone 29 sono arrivate a Roma e poi accompagnate in Puglia e in parte a Potenza. Nove profughi avendo parenti in Italia li hanno raggiunti a Catania, Avezzano e Verona. Altre 21 persone sono state affidate alla Regione Piemonte, mentre 12 saranno ospitate dalle suore del Cottolengo che hanno messo a disposizione i posti per lungodegenti.

Gli altri hanno trovato ospitalità in parte nel sistema nazionale di accoglienza e in parte nei posti messi a disposizione dall’Arci in varie regioni, tra cui Umbria, Toscana, Abruzzo, Basilicata e Liguria, Puglia. “I più anziani – ha detto Ignazio Schintu, direttore Operazioni, emergenze e soccorsi della Cri a chi gli chiedeva dello stato d’animo dei profughi.- sanno che non rivedranno più la loro terra”.

Schintu ha raccontato quanto ha visto in Ucraina “È una situazione irreale”, ha detto, “all’interno delle città la gente continua in qualche modo a vivere normalmente. Ci sono cadaveri per strada e palazzi distrutti. Le sirene suonano in continuazione, ma la maggior parte della gente non va nei bunker perché ormai si è abituata. Sembrava di essere in un film di guerra della peggior specie. La gente muore di fame, gli aiuti non riescono ad arrivare nelle zone del conflitto vero. Ai confini è un continuo passare donne, bambini e anche molti animali” Schintu ha paragonato quanto sta succedendo in Ucraina a ciò che l’Europa ha vissuto durante la seconda guerra mondiale “forse anche qualcosa di peggio”.

“Si sta facendo tanto – ha sottolineato – ma non è abbastanza. C’è ancora molto da fare. la raccolta fondi è una delle poche cose che funziona e senza contributo dei donatori non avremmo potuto fare questa missione. Anche se dovesse finire oggi – ha concluso – questo conflitto lascerà il segno per diversi anni.