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Un tesoro storico, l’Abbazia di Casamari nel Lazio

Veroli Fr – La fondazione dell’abbazia di Casamari risale agli albori del II millennio quando alcuni ecclesiastici di Veroli, con l’intento di costruire una comunità monastica benedettina, avviarono la costruzione di un monastero sulle rovine di Cereate, patria del console romano Caio Mario cui si riporta la denominazione di Casamari, Casa di Mario.

Intorno alla metà del XII secolo, i monaci benedettini furono sostituiti dai cistercensi i quali, in un arco relativamente breve di tempo, edificarono l’attuale monastero, gioiello di architettura cistercense.

Dopo un periodo di splendore, a partire dalla metà del XIV secolo Casamari si avviò ad un lento declino fino a quando nel 1717 vi fu introdotta una colonia di monaci cistercensi riformati, detti Trappisti, provenienti da Buonsollazzo in Toscana, i quali ridiedero impulso alla vitalità spirituale, culturale e materiale del monastero.

In età napoleonica e nel corso dell’800, Casamari subì invasioni, saccheggi, incendi e spargimenti di sangue. Spogliata dei suoi beni nel 1873 in seguito alle leggi di soppressione, l’abbazia, nell’anno successivo, fu dichiarata monumento nazionale.

Nel 1929 Casamari, insieme ai monasteri da essa fondati, è stata eretta in Congregazione monastica autonoma, aggregata all’Ordine cistercense.

Nell’abbazia di Casamari vive attualmente una comunità di sedici monaci.

 

I Martiri di Casamari

Nella primavera del 1799 i rivoluzionari francesi, che avevano instaurato in Napoli la Repubblica Partenopea, furono costretti dall’esercito borbonico riorganizzato dal cardinale Fabrizio Ruffoe dalla presenza della flotta inglese ancorata nelle isole di Ischia e di Procida, a prendere la via del ritorno, risalendo la penisola per la litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.

Un distaccamento dell’esercito, però, calcolato dalle cronache del tempo sulle tredici – quindici mila unità, agli ordini dei generali Vetrin e Olivier, si diresse verso l’interno. Esso giunse, il 10 maggio, a Cassino quando gli abitanti avevano abbandonato la città e si erano rifugiati sui monti. Anche i monaci dell’abbazia di Montecassino erano fuggiti a Terelle recando alla sicuro le cose più preziose; i pochi monaci rimasti dovettero assistere con raccapriccio, e non senza pericolo di morte, alla devastazione, al saccheggio ed alla profanazione, perpretati, tra canti osceni e parodia di sacre liturgie, dai 1500 soldati della colonna del generale Olivier che erano saliti all’archicenobio.

L’undici maggio, il passaggio dei soldati in ritirata è documentato in Aquino: “Oggi, 11 di maggio, sono passati qui i francesi inseguiti dalle truppe regie e in questa chiesa non hanno lasciato neanche un candeliere” – e in Roccasecca, dove sei persone “chiusero i loro giorni per l’aggressione francese”.

Dopo essere giunti ad Arce e averla saccheggiata, le truppe, anziché deviare per Ceprano, si diressero per Isola Liri e ne fecero una città martire. Forzato lo sbarramento e rotta la resistenza i francesi penetrarono nella cittadina seminando violenza lutto e sangue, non risparmiando le molte persone che si erano rifugiate, come ultima speranza, nella chiesa Di San Lorenzo. Il canonico-vicario Giuseppe Nicolucci ci ha lasciato nei libri dei defunti una agghiacciante testimonianza: “Memorando né mai dimenticabile il giorno che fu di Pentecoste, 12 maggio 1799, che il gallico furore che noi e tutte le nostre case rovinò e travolse nell’ultimo eccidio – Nulla che il nemico ferro non avesse devastato e mietuto – Non gregge non armento sicuro alla campagna, nei presepi e negli ovili – Non uomo che scappasse da morte; non donna, ancorché fanciulla, risparmiata dalla militare licenza brutale. Né altari, né cose sacre le scellerati mani rispettarono – Chi voglia più saperne legga la triste memoria scritta a pagina … (si guardi l’elenco dei morti) di questo libro ed apprenderà perché registri 500 e più nomi di trapassati nel solo e medesimo giorno 12 maggio 1799”.

Dopo l’eccidio nella cittadina di Isola, mentre la truppa riprendeva la ritirata verso il Nord, un drappello di venti soldati sbandati, – “venti leopardi”, secondo la descrizione di un teste oculare – il 13 maggio irruppe all’interno dell’abbazia di Casamari, alle otto di sera, quando la comunità si accingeva al canto della “compieta”, prima del grande silenzio che ovatta di notte un monastero benedettino. Fu una notte di spavento, di dispersione, di sangue, di morte …di martirio.

Mentre gli altri monaci, come uno stormo di miti colombe spaventate, cercavano all’impazzata scampo per ogni dove, sei di essi impavidamente restarono ed eroicamente testimoniarono la loro fede nell’eucarestia, rimanendo uccisi nell’atto di sottrarre le sacre pissiddi o di riparare alla profanazione delle particole consacrate. Essi sono: il priore P. Simeone Cardon, P. Domenico Zawrel, Fra Maturino Pitri, Fra Albertino Maisonade, Fra Modesto Burgen, Fra Zosimo Brambat.

Sulla testimonianza di sangue dei martiri, associati alla passione di Cristo, poggia la solidità della Chiesa; essi non saranno mai dimenticati perché “sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavate le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap. 7, 14).

 

Padre SIMEONE CARDON, priore e cellerario, nato a Cambrai, monaco benedettino a Parigi, durante la Rivoluzione fuggì dalla Francia e raggiunse rocambolescamente Casamari il 5 maggio 1795, dove vestì l’abito cistercense e, poi, emise la professione di stabilità.

Per bontà e per esemplarità di vita fu nominato, prima, economo e, successivamente, priore dell’abbazia. All’approssimarsi dell’esercito francese in ritirata, dapprima decise di fuggire con i monaci, ma, poi, li esortò a rimanere. Il 13 maggio egli accolse il drappello degli sbandati e somministrò loro cibo e bevande. Davanti alla loro furia distruttiva dapprima si nascose nell’orto ma, rientrato in sé, ritornò nella sua cella dove fu assalito dai soldati che reclamavano i tesori del monastero. Con la sciabola fu ferito alla testa ed alle mani mentre cercava di parare i colpi. Mori “verso le sette del mattino seguente. Aveva cinque ferite, due colpi di baionetta nel corpo, un colpo di sciabola nella testa, uno sul braccio destro e uno sulla coscia sinistra”.

 

Padre DOMENICO ZAWREL, maestro dei novizi, nato a Codovio virgola in diocesi di Praga, fu dapprima religioso domenicano della congregazione di Santa Sabina di Praga. Venne a Casamari nel maggio del 1776, il mese seguente ricevete l’abito di novizio, e l’anno dopo, professò i voti solenni. Nella tragica notte del 13 maggio raccolse per due volte le sacre specie, prima nella chiesa, poi, nella cappella dell’infermeria, dove rimase in adorazione con due altri confratelli, fra Albertino e fra Dosideo. Furono sorpresi da tre soldati che sparsero per terra le particole, uccisero con due colpi di sciabola fra Albertino, ferirono gravemente fra Desiderio “e infine lasciarono morto ai loro piedi anche il padre Domenico dopo avergli tirati più colti di spada sul capo ed in altre parti del corpo: subito spirò nella medesima cappella dicendo: Jesus-Maria”.

 

Fra ALBERTINO MAISONADE, corista, francese, di Bourdeaux, dopo lo scoppio della Rivoluzione fuggi e si portò a Casamari, dove fu ricevuto ed ammesso tra i monaci di coro. Nel novembre del 1792 vesti l’abito di novizio e, nell’anno successivo, emise la professione semplice secondo un privilegio, allora specialissimo, concesso alla comunità di Casamari. Esemplare negli atti di vita comunitaria, manifestò sempre una devozione profonda per l’adorazione del Sacramento dell’altare. Il 13 maggio, all’arrivo dei francesi, invece di fuggire si ritirò in adorazione davanti al santissimo Sacramento – che era stato profanato nuovamente – nella cappella dell’infermeria. Raggiunto dai soldati francesi, fu colpito e finito a colpi di sciabola sul posto con padre Domenico Zawrel.

 

Fra MATURINO PITRI, oblato, di Fontaineblau, figlio di uno dei giardinieri del re di Francia, fu arruolato e, poi, destinato alla campagna in Italia. Nel gennaio del 1799 fu colpito da una terribile asma di petto e da febbre e fu ricoverato, con altri undici commilitoni, nell’ospedale “La Passione” di Veroli. Dichiarato prossimo a morte, si confessò al Padre Simeone Cardon che era capitato nell’ospedale, e gli dichiarò di voler vestire, se fosse guarito, l’abito cistercense. Tre giorni dopo, perfettamente guarito, fu nascosto per una notte nell’appartamento del curato dell’ospedale, Don Giuseppe Viti, e, di buon mattino, fu accompagnato a Casamari. Il tredici maggio, raggiunto da un colpo di fucile nel corridoio del noviziato, si trascinò e morì nella sua cella.

 

Fra ZOSIMO BRAMBAT, converso, milanese, chiese, alla fine del 1792, di essere ricevuto in Casamari. Trascorse due anni, secondo la consuetudine, coll’abito di oblato, poi, nel novembre del 1794, fu ammesso al noviziato e, nell’anno successivo, emise la professione semplice nelle mani dell’abate Pirelli. In quel terribile tredici maggio fu dapprima raggiunto da un colpo di archibugio e, poi, da colpi di sciabola mentre, nel disbrigo di un’obbedienza, “passava per la scaletta per andare in refettorio e avanti la scala della farmacia”. Riuscì, tuttavia, a nascondersi, ma, tre giorni dopo, il sedici maggio, morì poco fuori delle mura del monastero, dopo essersi incamminato alla volta di Boville per ricevere il sacramento dell’unzione degli infermi.

 

Fra MODESTO BURGEN, converso, francese di Borgogna, fu dapprima religioso nell’abbazia cistercense di Settefonti. Durante la Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari, dove fu accolto fraternamente. Nel gennaio del 1796 fu ammesso al noviziato e, nell’anno seguente, emise i voti semplici. Anch’egli religioso di vita esemplare, in quell’infausto tredici maggio fu inseguito nel corridoio del noviziato, fu raggiunto da un colpo di archibugio, e poi finito a colpi di sciabola.

fonte: Abbazia di Casamari

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