Editoriale – I problemi che precludono il miglioramento sociale sono molteplici. Uno di questi, il pregiudizio, influisce in modo significativo sfavorendo la crescita collettiva. Darne una definizione è molto semplice, ma la stessa nasconde significati più profondi e nascosti.
Il pregiudizio non è nient’altro che un giudizio espresso in assenza di dati sufficienti. Basterebbero queste poche parole per capire quanto sia sbagliato ed inutile averne. Naturalmente, come in tutte le questioni, per affrontare un problema è necessario fare un po’ di chiarezza.
Lo psicologo Allport lo definisce come “un sentimento, favorevole o sfavorevole, non dettato da un’esperienza attuale”. Come punto di partenza c’è una predilezione immotivata per una specifica ideologia o pensiero, che porta al rigetto o all’accettazione di un’affermazione in base alla corrispondenza con le proprie idee escludendo un’attenta riflessione.
Rosnow in tempi più recenti lo inquadra come “qualsiasi convinzione immotivata, insolitamente resistente all’influenza della ragione”.
Il pregiudizio sostanzialmente si divide in due rami: implicito ed esplicito.
Quest’ultimo, molto semplicemente, si può definire “volontario”, cioè dettato direttamente dal nostro pensiero conscio. L’implicito invece deriva da un preconcetto presente nella nostra mente, ma il suo manifestarsi avviene in maniera inconscia.
Questo fenomeno sociale, espressione delle nostre funzioni psichiche e cognitive, crea altre problematiche molto rilevanti: lo stereotipo e la discriminazione.
Inoltre il pregiudizio nega la possibilità di ampliare i nostri orizzonti, rendendoci schiavi attraverso catene di fumo. Immaginiamo muri dove non esistono, consolidando convinzioni inesatte. Troviamo in noi stessi il modo di soffiare via questo giudizio ingiusto, aprendoci a nuove prospettive sociali. Cerchiamo di accrescere la voglia di inclusione nascosta nei nostri cuori. Abbattiamo questa barriera per vivere in modo migliore con gli altri e con noi stessi. (di Stefano Danzi)