Riccardo Di Giuseppe è un martire antifascista nato a Vicovaroil 18 maggio 1899 e fucilato a Forte Bravetta in Roma il 22 dicembre 1943
Dalle carte d’archivio – si legge in memorie di paese – emerge la figura di un antifascista irriducibile in patria e fuori dai primi anni Venti fino alla Seconda guerra mondiale, che ha vissuto in prima persona i momenti più significativi della storia d’Italia di quegli anni: l’opposizione al fascismo e la repressione poliziesca, l’esilio all’estero, la guerra di Spagna, la Resistenza. Riccardo (figlio di Leonardo e di Lucia Leoni), ferroviere presso la stazione di Vicovaro, nei primi anni Venti è il segretario del Partito repubblicano della cittadina e, per il suo veemente antifascismo, richiama su di sé l’attenzione della polizia che, nel 1924 perquisisce il suo domicilio e sequestra materiale a stampa di propaganda antimonarchica e “incitante all’odio di classe”. Nel giugno del 1925 promuove una sottoscrizione per commemorare l’anniversario della morte di Giacomo Matteotti. É tratto in arresto ma è prosciolto per amnistia il 9 ottobre. L’anno successivo, per sottrarsi alla persecuzione delle autorità di PS, varca clandestinamente la frontiera e va a vivere in Francia dove resta fino al 1937. Nella repubblica transalpina la vita di Riccardo è quanto mai movimentata e segnata da continui spostamenti (a Nizza, inizialmente, poi a Grasse, a Tanus Tarn e a Villefranche) e da alcuni ritorni in patria. Il 12 dicembre 1933, in uno dei suoi tentativi di rientrare clandestinamente in Italia, è arrestato alla frontiera, tradotto a Roma nel carcere di Regina Coeli e poi rilasciato. I suoi spostamenti sono seguiti costantemente dalla polizia fascista. D’altronde Riccardo non fa nulla per nasconderli. Il 4 marzo 1934, rientrato in Francia, scrive al Regio consolato di Tolosa rivolgendo alle autorità fasciste parole di fuoco:
Vengo a portare a conoscenza di questo Consolato, che fin dal 12 febbraio scorso ho traversato di nuovo la frontiera e mi trovo di nuovo in Francia. Questa notizia non farà certo piacere a codesti signori del Consolato, visto che la loro vigliaccheria è degna del loro capo di governo. Credevano forse d’avermi per sempre fatto imprigionare, ma sono riuscito lo stesso ad eludere di nuovo la sorveglianza dei loro sgherri e a raggiungere questa terra di libertà “La Francia”. Non di meno, mi ricorderò della canaglieria di lor signori che dopo avermi rilasciato un passaporto regolare, davano ordine alla frontiera di arrestarmi; ciò che è arrivato: e il magnifico loro telegramma al Ministero, che mi ha letto davanti la Commissione di confino; telegramma inviato da lor signori (servizio spionaggio) = Riccardo di Giuseppe, irriducibile avversario del regime, dangeroso rivoluzionario, organizzatore e propagandista all’estero. […] ho potuto calcolare, e comprendere quanto sia schifoso e assassino il regime fascista; anche oggi, e che il popolo italiano che muore di fame può anche disfarsi da un momento all’altro di quel regime di profittatori e di banditi. Loro vedono bene che sebbene abbia sofferto, sia in prigione come anche per traversare le Alpi (37 ore di marcia nella neve) pure mi è giovato a qualche cosa.[…]
Il padre Leonardo, nell’agosto 1935, si premura di scrivergli:
Ti raccomando che ti calmassi un pochetto a scrivere, perché se in caso facessero la censura noi potremo passare qualche guaio, lascia che fanno come gli pare.
Nel 1936 è in Spagna, a Barcellona e l’anno dopo arriva alla Questura di Roma la notizia che si è arruolato nelle “milizie rosse spagnole”. Nel dicembre 1937 scrive infatti dalla Spagna raccontando di aver prestato servizio nel Genio telegrafisti e di trovarsi ora a Valencia, lavorando come perito tecnico. In una lettera al padre (con qualche parola in spagnolo) ripete la parola d’ordine di Carlo Rosselli:
Sto benissimo come spero sia di voi tutti e speriamo quando prima (vale a dire quando avremo finido con el fascismo aqui) di vederci; per poter continuare la lotta, fino al giorno di esserci liberati dalla tirannia esistente oggi in Italia.
A seguito dello scioglimento delle Brigate internazionali lascia la Spagna ma la polizia italiana è sempre sulle sue tracce e ne segnala ogni spostamento: alla fine del 1938 è ad Amsterdam dove si rivolge alle organizzazioni “pro Spagna rossa” chiedendo sussidi, dichiarando di esser stato in Spagna e di aver riportato ferite in combattimento. Il gennaio dell’anno successivo è in Belgio, poi di lì si reca a Marsiglia, dove ha scortato su un vapore un carico d’armi fino ad Alicante. Torna ancora ad Aversa, dove viene arrestato per “favoreggiamento d’imbarchi clandestini”, poi nel giugno 1939 è a Parigi. Nell’ottobre 1941 è arrestato a Madrid perché “comunista, sprovvisto di documenti d’identità”. Nel giugno 1942 si trova internato nel campo di concentramento di Miranda d’Ebro. Nel maggio 1943 è rimpatriato in Italia su un idrovolante.
Il 20 maggio è interrogato nell’Ufficio Politico della questura di Roma, dove dichiara:
Durante la permanenza all’estero non ho mai svolto alcuna attività politica: pur conservando le mie idee antifasciste, sono e sono stato anche anticomunista. Così si spiega il motivo delle mie dimissioni dall’esercito spagnolo, dove comunque ero tecnico militarizzato e mai ho partecipato ad azioni belliche.
La Questura di Roma, tuttavia, continua a considerarlo un elemento pericoloso e ne propone l’invio al confino:
Dal complesso dell’attività antinazionale ed antifascista che il Di Giuseppe ha sempre svolta sia nel regno che all’estero, il medesimo è da classificarsi elemento pericolosissimo, specie nelle attuali contingenze e, pertanto, questo Ufficio propone che il medesimo venga denunziato al confino di polizia per la durata massima.
La proposta è accolta e la Commissione Provinciale gli assegna cinque anni di confino. Siamo però ormai al giugno 1943 ed a Castiglion Messer Marino, dove è stato destinato, rimarrà fino all’8 agosto dello stesso anno. Liberato, torna nella sua Vicovaro dove, dopo l’8 settembre entra in una formazione che compie atti di sabotaggio sulla via Tiburtina. Il 7 novembre è catturato dai tedeschi assieme a Teofilo Ferrari, Secondo Massa, Romeo Carboni, Giovanni Borelli, Armando Duvalli e Nando Duvalli (rispettivamente padre e figlio, che saranno trucidati alle Pratarelle). Gli arrestati sono trattenuti nel palazzo Cenci – Bolognetti, sede del comando tedesco, per poi essere trasferiti al carcere di Regina Coeli in Roma in attesa di giudizio. Dopo circa un mese sono messi in libertà tutti, tranne Riccardo che subisce la durissima istruttoria nelle camere di sicurezza via Tasso. Verso la metà di dicembre è processato, all’albergo Flora dalla Corte militare tedesca che lo condanna a morte per cospirazione contro il nazifascismo e per attività partigiana. All’alba del 22 dicembre 1943 è fucilato a Forte Bravetta.
Della permanenza a Regina Coeli e degli ultimi istanti prima di essere condotto di fronte al plotone d’esecuzione, racconta un suo compagno di cella, Augusto Raponi:
Il giorno 12 novembre 1943, due tedeschi aprirono la porta della nostra cella e buttarono sopra un pagliericcio un uomo veramente malconcio. le sue condizioni erano pietose: di statura media, asciutto, aveva il viso tumefatto dalle percosse ricevute. Il suo corpo era una piaga. Alle caviglie presentava profonde fessure sulla carne gonfia, causate dalla lunga permanenza di una corda strettamente legata. […] Il patriota aveva occhi piccoli ma vivacissimi e rivelava una carica di energia non comune. […] Il giorno 28 novembre 1943 i tedeschi vennero a prelevare dalla cella Riccardo di Giuseppe. Lo portarono in via Veneto all’hotel Flora, per il processo. Quando nel pomeriggio fu di ritorno ci disse che era stato condannato a morte. Provammo una grande emozione ed un profondo dispiacere. Avevo imparato a conoscerlo, a capire la sua grande forza morale, ad avere di lui una grande stima. […] Chi ci fece coraggio fu lui, Riccardo di Giuseppe, il condannato a morte. Contrariamente alla sua naturale posatezza, volle persino scherzare. Sapevamo bene che per noi la speranza di salvezza era molto scarsa, ma per lui era finita. Avevo dato al Di Giuseppe un mazzo di carte in miniatura, ed egli passava le lunghe ore a fare il solitario, fischiettando in sordina. Trascorsero così 25 giorni, lunghi un’eternità. La mattina del 22 dicembre mi svegliai alle sette. […] Sul ballatoio un tedesco chiama con voce secca, stentata: Riccardo di Giuseppe. Il patriota, impassibile, volle ancora scherzare: alzò il braccio destro, con l’indice della mano dritto e il pollice alzato a mo’ di pistola e, rivolto al tedesco, fece: pum, pum! Il tedesco rispose con un diniego della testa. Poi si alzò, si vestì. Lo guardammo: era calmo e sereno. Era come al solito calmo e sereno.
Riferimenti archivistici e bibliografici
La corrispondenza qui riportata si trova in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’interno Casellario politico centrale, b.1791 fasc.19232 e Divisione Polizia Politica, fascicoli personali, b.437 fasc.12. La scheda biografica di Di Giuseppe e il foglio di via del Consolato italiano a Madrid (che si allega) si trovano in Archivio di Stato in Roma, Questura di Roma, ctg A/8 sorvegliati politici Qrm sp ctg A/8, b. 349, fasc. «Di Giuseppe Riccardo». Per il movimento di Resistenza a Vicovaro e, più in generale, nella Valle dell’Aniene, cfr. Giuseppe Panimolle, La Resistenza nell’Alta Val d’Aniene, prefazione di Antonio Parisella, ristampa anastatica 2010 Castel Madama. Per la permanenza di Riccardo nel carcere di Regina Coeli cfr. Lorenzo D’Agostini, Roberto Forti, Il sole è sorto a Roma, Roma, Anpi, 1965, pagg.77 e segg.