Della vittoria dello scudetto da parte del Napoli non si può che essere contenti (se ne starà rallegrando, in Cielo, anche Luciano De Crescenzo). Napoli non è una città qualunque. Napoli non lascia indifferenti. Non è solo una realtà urbana: è un destino, è una grande vivente metafora dell’Italia, è la capitale emotiva della nazione, il cuore pulsante del Paese, è una geografia umana che in diversa misura rappresenta tutti gli Italiani. A Napoli – diceva un suo celebre figlio, Totò, – si fa sempre tutto col cuore, il bene e il male.
Napoli è la città della vita, della luce, della creatività, è la calda corrente del golfo che abbraccia da sempre tutta la penisola. Difficile immaginare un’Italia senza Napoli. Confessiamolo a noi stessi: noi italiani siamo tutti, chi più chi meno, un po’ napoletani, tiriamo tutti a campare, siamo sempre inclini a mettere il cuore davanti alla testa, e quando tutti ci danno per morti, il terzo giorno resuscitiamo.
Noi abruzzesi, poi, abbiamo avuto con la città partenopea un rapporto particolare. Tutto, dalla storia politica alle dinamiche etno-linguistiche, ci ha proiettato verso il Meridione. Napoli è stata la nostra capitale per almeno seicento anni, e L’Aquila, questa nostra bellissima città di fondazione, è stata considerata seconda città del regno continentale già a partire dai primi decenni del XV secolo. Alla fine del Settecento e poi per tutto il primo Ottocento, i figli della piccola e grande borghesia abruzzese e molisana andavano a studiare a Napoli. Benedetto Croce (Pescasseroli, 1866–Napoli, 1952), abruzzese di nascita e figlio di abruzzesi trapiantati a Napoli, ha potuto amare e dedicare a questa capitale della cultura gran parte delle sue fatiche intellettuali senza dover trascurare le sue radici.
Napoli occupa un posto importante anche nella storia di Assergi, paese natale dello scrivente abbarbicato sulle pendici del versante meridionale del massiccio del Gran Sasso. Poteva accadere nei secoli passati che i massari, i responsabili della “cosa pubblica” della comunità, scrivessero direttamente al Re di Napoli per vedere risolti i loro problemi. Nel Settecento, come ci informa Nicola Tomei (Villa S. Angelo, 1718–L’Aquila, 1792), «il Dottor di legge D. Giuseppantonio Cipicchia nato ad Assergi da Franco Cipicchia e Chiara Giusti, esercita i R(egi) Governi nel Regno»[1]. Assergi, paese vestino, porta tracce rilevanti di Napoli nel dialetto (come lo scrivente ha illustrato in altro luogo) e nella stessa chiesa parrocchiale.
C’è poi un’opera letteraria che lega le nostre contrade all’antica capitale. Si tratta di un poema dal titolo “La bella di Camarda”, di Emidio Cappelli (S. Demetrio ne’ Vestini, 1806 – ivi, 1868), rampollo di un casato che viveva a Napoli e che già ai primi dell’Ottocento era divenuto proprietario di gran parte della nostra montagna. Il racconto, non privo di suggestivi squarci lirici, è ambientato nell’amena valle del Raiale, che l’autore ben conosceva e molto amava. Pubblicato nell’allora capitale del Regno nel 1857 a cura della prestigiosa Accademia Pontaniana, il poemetto, scritto in uno stile di evidente impronta neoclassica, è stato considerato da un celebre intellettuale aquilano da poco scomparso come «il testo più caratteristico e consigliabile dell’Ottocento abruzzese»[2].
Va bene, dunque, la vittoria dello scudetto, ma essa non può essere salutata come un riscatto, giacché Napoli non è mai stata solo spettacolo o folclore, o arretratezza, ma, semmai, luogo delle occasioni mancate. Ecco, di seguito, cosa scriveva, tra l’altro, sulla grande città mediterranea lo storico Fernand Braudel (Luméville-en-Ornois, 1902–Cluses, 1985), esponente di punta di quella feconda corrente storiografica che va sotto il nome di “École des Annales” e attento studioso della storia della mentalità, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 marzo 1983:
Napoli ha continuato a dare molto all’Italia, all’Europa e al mondo: esporta a centinaia i suoi scienziati, i suoi intellettuali, i suoi ricercatori, i suoi artisti, i suoi cineasti […] mentre non riceve nulla, o pochissimo, da fuori”. L’Italia – aggiungeva Braudel – ha perso molto a non saper utilizzare, per indifferenza, ma anche per paura, le formidabili potenzialità di questa città decisamente troppo diversa: europea prima che italiana, essa ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, snobbando Firenze, Milano o Roma. […]. Questo capitale è oggi sottoutilizzato, sperperato fino ai limiti dell’esaurimento […]. Quale fortuna per tutti noi, se ora, domani, potesse essere sistematicamente mobilitato, sfruttato, valorizzato. Quale fortuna per l’Europa, ma anche e soprattutto per l’Italia. Questa fortuna Napoli merita, più che mai che le sia data.
Valga, infine, un piccolo ricordo personale, di me che scrivo queste modeste note. Qualche anno fa stavo in gita a Napoli con alcuni amici e conoscenti aquilani. Si stava pranzando, dopo una breve passeggiata, in un ristorante con vista su via Caracciolo e sul mare. Ad un certo punto, tutti per qualche attimo ci azzittimmo. Io sentii il bisogno di prendere la parola e sussurrai: “Diciamo la verità: in questa città ci sentiamo a casa nostra”. “È vero – rispose più di uno –, stavo proprio pensando la stessa cosa”.
Per il resto, viva Napoli campione d’Italia!
[1] N. TOMEI, Dissertazione sugli atti e culto di S. Franco d’Assergi, Napoli, Coda, 1791, p. 13-14.
[2] R. COLAPIETRA, L’Italia di mezzo -Per una storia delle terre abruzzesi, Castel Frentano (Ch), Casa Editrice Carabba srl, 2018, p. 127.